THE TALK. Per competere serve rigore
Puntare sul made in Italy può davvero aiutarci nella ripresa?
Vorrei innanzitutto chiarire che non sono un paladino del made in Italy, ma non stiamo valorizzando la nostra italianità come dovremmo. Essere italiani vuol dire anche trovare scappatoie, che è una forza da una parte, ma anche una debolezza se mal gestita. Come italiani dovremmo puntare di più su quelle che sono le nostre peculiarità e cogliere questo momento come una grande opportunità di cambiamento. Confido che questo momento possa darci una scossa per cambiare e diventare ancora più bravi e, per questo guardo al futuro con speranza. Ma non si vive di sola speranza...
Come vede lo scenario che si presenterà con la ripresa delle attività produttive?
Purtroppo è una crisi non prevista e non prevedibile. Mai avrei immaginato un problema mondiale di questa dimensione, altrimenti non avrei fatto gli investimenti che ho avviato. Ho 150 dipendenti, produciamo dai 35 ai 150 mila pezzi al giorno e tutti gli ordini sono fermi. Esportiamo il 99% della nostra produzione in 70 Paesi nel mondo. Di fatto dipendiamo dai nostri clienti in giro per il mondo. È difficile ora pensare che i consumi riprendano come prima. Ci vorranno mesi e sarà un anno molto complicato. Certo, il mondo non è finito, ma è una battuta d'arresto talmente importante che tutti noi dovremo entrare nell'ordine di idee di fare cambiamenti nel modo di intendere l'industria. Non più rincorsa dei prezzi, ma sviluppare quelle che sono le nostre peculiarità italiane. Aspetto anche da me stesso un cambiamento. Con i miei fratelli e i miei figli siamo allineati sul fatto che bisogna cambiare e pensare a un mondo diverso. Alcuni miei clienti stanno già chiudendo, forse hanno solo accelerato un processo, ma credo che negli altri Paesi ci sia meno confusione che qui in Italia.
Una nota polemica?
Il problema è che la crisi non è gestita come si dovrebbe. C'è molta confusione e contraddizione e questo non fa bene né al sistema Paese né al sistema industriale. Non so come possano immaginare questa ripresa. Le PMI non si aspettano che siano i governanti a risolvere il problema, perché manca una vera leadership e io sono preoccupato per l'incapacità di troverà le giuste soluzioni. Per quanto riguarda la nostra azienda, con il brand Officine Bernardi confido nel pragmatismo di alcuni Paesi con i quali lavoriamo, che sono più avanti di noi. Come gli USA, per esempio, dove abbiamo ufficio a New York e dove contiamo di riaprire in un paio di settimane e rimetterci a correre. Lavorare con l'estero per noi è trainante perché essendo un esportatore avrò altri stimoli per poter fare di più.
Quale pensa siano le giuste leve per ripartire?
Mi faccia dire una cosa. Se non cresci chiudi. Ce l'abbiamo fatta finora, ma non va bene. Ho cercato di fare delle alleanze, ma siamo chiusi mentalmente. Noi stiamo cercando di crescere da soli, con operazioni di sviluppo rapide e veloci. Ma, in generale, nel comparto non noto che ci sia questo grande fermento, sono tutti in attesa. L'Italia è il terzista del mondo. Non siamo in grado di fare quel passo in avanti perché siamo troppo piccoli.
Abbiamo solo una possibilità di rilancio: crescere e guardare avanti in maniera più rigorosa. Bisogna mollare gli ormeggi e ripartire. Ho iniziato il mio viaggio imprenditoriale il 7 maggio di 33 anni fa, a 26 anni. Se l'ho fatto io, spero, e sono convinto che anche altri possano farcela.
Per competere bisogna correre, andare nel mondo, mantenere le promesse e fare tutte quelle cose che si aspettano da un italiano. Il prodotto è importante, ma anche la serietà nella consegna. Spero che questo stop possa aver portato saggezza nelle menti di tutti noi. Sono molto preoccupato, ma non andava bene neanche prima.
Come funziona il sistema "Officine Bernardi"?
In Cina lavoriamo con Hong Kong e solo con l'unbranded, ma rispetto agli USA è un mondo difficile, impenetrabile. Gli USA sono un Paese di grandi contraddizioni, ma è un po' la guida del mondo. Lavoriamo sia con Officine Bernardi sia con l'unbranded attraverso distributori locali. Come Officine Bernardi, in boutique funzionano meglio due tipi di prodotto, uno in argento che va dai 100 ai 700 dollari, e l'altro in oro e pietre, con un prezzo dai 500/700 ai 4/5 mila dollari. Se una collezione piace, partiamo con la produzione indipendentemente dall'ordine, perché per noi avere magazzino è utile soprattutto quando lavori con l'e-commerce, che stiamo riprendendo proprio ora, con segnali incoraggianti su alcune fasce prezzo anche sui 1000 dollari. A livello di aree geografiche, lavoriamo soprattutto sulla parte orientale degli USA, da nord, sopra New York e Boston, a scendere fino alla Florida. Siamo un po' meno presenti in California, ma stiamo iniziando a lavorarci con un nostro funzionario, perché la costa ovest con Los Angeles ora è più interessante di New York.
In futuro?
La parte che mi darà più futuro è Officine Bernardi. Avevamo appena iniziato una fase di rilancio, con tre negozi monomarca in Italia (due a Venezia in Piazza San Marco e uno a Treviso), ma ora probabilmente ne chiuderemo uno in San Marco e magari penseremo a un'espansione di un'altra grande città europea.
The company in numbers:
• Dipendenti: circa 150
• Mercati di riferimento: Usa, Far East (in particolare Cina), Russia. In generale, in oltre 70 Paesi nel mondo.
• Export: 99%.
• Fatturato 2019: 65 milioni di euro, ca.
• Punti vendita diretti 3 (2 Venezia, 1 Treviso), con la prospettiva di aprirne altri a breve. Abbiamo in progetto di aprire un monomarca in una importante città europea.
Intervista di Federica Frosini, Editor in Chief VO+
Intervista di Lorenza Scalisi, Senior Editor VO+
Intervista di Antonella Reina, Editor VO+